Storie e leggende di Rapa Nui

18 Settembre 2019

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PARLIAMO DI

Storie e leggende di Rapa Nui. Che origine hanno i Moai? A cosa servivano? Cos’è l’Uomo Uccello di Orongo? Che fine ha fatto il popolo Rapanui? Facciamo chiarezza in questo articolo!

L’isola di Pasqua, che gli abitanti chiamano Rapa Nui, è da sempre ai primi posti fra i viaggi che un viaggiatore desidera fare almeno una volta nella vita. I motivi? Forse perché è così remota e lontana da tutto, forse per i misteri ancora irrisolti del suo popolo del quale conosciamo ancora troppo poco o forse per il fascino delle le sue imponenti statue, i Moai, disseminate ovunque sull’isola. Qual’è però il confine fra storia e leggenda di questa isola?

I misteri del popolo Rapanui

“… L’isola di Pasqua è il luogo più solitario del Mondo. I punti fissi più vicini che gli abitanti possono scorgere stanno nel cielo: sono la luna ed i pianeti. Per questo hanno tanta dimestichezza con le stelle e ne conoscono i nomi più di quanto conoscano quelli delle città e dei paesi del globo.
Su quest’isola remota l’umanità si mise un giorno all’opera per realizzare una delle sue più bizzarre trovate. Prima che Colombo portasse l’uomo bianco in America un popolo di navigatori solco acque sconosciute dell’infinito spazio oceanico e trovò un lembo di terraferma: qui sbarcò, affilò le asce di pietra e si accinse alla realizzazione di una delle più notevoli imprese del passato. Non costruirono città e castelli, e nemmeno argini e dighe. Innalzarono invece gigantesche figure umane di pietra, alte come case e pesanti come vagoni ferroviari e le disposero in fila, per monti e per valli, su poderosi piedistalli in muratura….

Da “Aku-aku” di Thor Heyerdhal 

I Moai, cosa sono?  A cosa servivano?

Secondo stime approssimative, sull’Isola di Pasqua ci sarebbero da 800 a 1000 Moai, le gigantesche statue di cui è giustamente celebre ma è probabile che ne giacciano molte altre nascoste nei detriti dell’isola. Tutte, o quasi, furono scolpite nel tufo vulcanico del Ranu Raraku la cui cava funzionò per più di cinquecento anni. Poi, improvvisamente, i lavori si bloccarono, probabilmente a seguiti di eventi drammatici che caratterizzarono la fine della fase teucratica, lasciando molte figure incompiute, per cui oggi è possibile capire come venissero sbozzate direttamente nella roccia con l’aiuto di piccoli scalpelli, i toki, e poi calate con l’uso di corde sul fondo della cavaper essere rifinite con i mataa.

Al di là della differenza di forma e peso il Moai classico si presenta come un modello idealizzato di figura umana con una testa elegantemente stilizzata all’interno di un rettangolo allungato, sguardo alto e distante, mandibola marcata e robusta, labbra sottili e sporgenti. Le braccia scendono lungo i fianchi, mentre le mani con le dita, lunghe ed affusolate, si appoggiano sull’addome sorgente fino quasi a toccarsi. Le orecchie sottolineano, con la loro lunghezza, la casta di origine, ed il cranio appare spesso piano per ricevere il Pukao, un copricapo dalla forma cilindrica rosso per la presenza di ferro ossidato.
Gli occhi di corallo bianco e ossidiana e tufo rosso, posti nelle cavità orbitali, conferivano ai Moai il potere di trasmettere il mana a beneficio dei clan.

Perché i Moai sono stati rovesciati?

I Moai oggi in piedi sulle loro piattaforme sono opera di un lavoro di riqualificazione che nei decenni ha permesso di ricollocare alcuni Moai alla loro posizione originale. Quando gli europei iniziarono ad arrivare nel 1722, le gigantesche statue erano ancora in piedi. Eppure, alla fine del 19° secolo, i Moai sarebbero stati tutti rovesciati e caduti.
Perché?
Le teorie sono le più svariate: alcune credono che sia stato a causa di attività sismiche o di devastanti tsunami (tesi avvalorata dai resti di alcuni Moai trovati per esempio nel sito archeologico di Tongariki a diverse centinaia di metri di distanza dal luogo originario a causa di una violentissima onda provocata da uno Tsunami), altri dicono che le statue furono rovesciate durante le guerre tribali come un modo di umiliare la loro opposizione (la più probabile). 
Esiste anche una ipotesi “leggendaria” che parla infine di una donna sull’isola che aveva poteri speciali che fu capace di rovesciare tutte le statue dalla rabbia. Qualsiasi sia la verità il mistero dei Moai rovesciati ci accompagnerà per sempre.

Curiosità e nuove scoperte

Solo nel 2016 l’Easter Island Statue Project (EISP), una fondazione no profit scoprì che le teste dei Moai avevano anche un corpo (che è rimasto sepolto per secoli) senza un apparente motivo.

Nel 2019 invece è stato scoperto che i Moai non fossero solo semplici ornamenti, omaggi agli Dei avi innalzati casualmente sul terreno, ma sentinelle collocate in luoghi precisi con uno scopo. E questo scopo era la presenza di acqua. Il legame tra vita e morte non era solo simbolico.
I Moai potrebbero essere stati insomma dei segna-fonte, e le loro dimensioni e le loro caratteristiche un indicatore del tipo di risorsa che custodivano nei proprio paraggi, forse anche della distanza. L’ipotesi di un carattere funzionale – custodi di una ricchezza del suolo, rabdomanti sacri dei guardiani di pietra è stata avanzata da alcuni ricercatori americani, che hanno svolto un lungo sopralluogo sull’isola di Pasqua.

Siamo vicini quindi ai motivi che hanno spinto il popolo Rapanui a costruire questi colossi in pietra? Forse!

Che origini ha il popolo Rapanui e perché si estinse?

Esistono molte ipotesi sull’origine del popolo di Rapanui ma la strada più accreditata resta quella polinesiana. Gli abitanti dell’isola di Pasqua si trasferirono dalla Polinesia orientale verso il 400 d.C. come punto estremo dell’espansione per mare del popolo polinesiano. Questo popolo era noto per l’abilità di costruire grandi zattere in grado di affrontare le acque dell’oceano anche per lunghe distanze. Il DNA di frammenti ossei umani ritrovato nell’isola di Pasqua è identico a quello dei popoli polinesiani ed anche l’allevamento e l’agricoltura erano tipicamente quelle praticate nel Sud Est asiatico.

Hanno lasciato come ricordo della loro civiltà solo i Moai. Altrimenti, di loro non sarebbe rimasta alcuna traccia. Come mai?

Le teorie più accreditate asserivano che a un certo punto sarebbero letteralmente morti di fame: le risorse naturali, già scarse, sarebbero state sfruttate fin troppo, tanto da non lasciare più nulla per la loro sopravvivenza.

Autodistruzione?

Oltre alle persone, mancavano anche gli alberi. Il primo europeo che arrivò sull’isola la descrive già come una terra brulla e senza grandi alberi. Alberi però necessari per il trasporto dei grandi Moai. La teoria nata da queste stranezze è l’esemplificazione dell’ingordigia umana: per costruire sempre più statue, la popolazione di Rapanui abbatté tutti gli alberi dell’isola causando la progressiva desertificazione del suolo, e la propria fine.
Il ritrovamento di punte di ossidiana per tutta l’isola ha spinto a immaginare che la carestia portata dalla desertificazione abbia a sua volta innescato una sanguinosa guerra civile terminata con la morte della maggior parte della popolazione. I racconti arrivano a parlare anche di cannibalismo.

La teoria dell’autodistruzione, drammatica ed affascinante allo stesso tempo, non trova conferme in quanto quando arrivarono gli europei nel 1722 trovarono un numero di indigeni decisamente inferiore rispetto alle possibilità di sostentamento sull’isola.

Dagli studi effettuati da un team di ricercatori provenienti da Stati Uniti, Cile e Nuova Zelanda è emerso che il calo demografico è avvenuto in maniera disomogenea: nella zona a Nord est dell’isola, grazie a condizioni climatiche favorevoli e al terreno fertile, i Rapanui hanno prosperato dal 1600 al 1800, ben oltre i primi incontri con gli esploratori europei.

La loro scomparsa definitiva sarebbe stata determinata dall’arrivo di malattie come il vaiolo e la sifilide, tifo e colera, portate proprio dagli esploratori, contro cui i Rapanui non possedevano alcuna difesa immunitaria.
Come se non bastasse, l’arrivo degli schiavisti portò alla deportazione di almeno metà degli indigeni. Nel 1877 sull’isola se ne contavano appena 111.

Altri miti da sfatare

Un recente studio sulle punte di ossidiana che sono state trovate sull’Isola ha definitivamente escluso che fossero armi da guerra facendo tramontare le ipotesi di una guerra interna capace di decimare la popolazione: pare invece che fossero strumenti di lavoro.
Un altro studio imputa la carenza di palme (che ricoprivano la totalità dell’isola prima dell’arrivo degli europei) non alla deforestazione, ma al ratto polinesiano, arrivato probabilmente coi primi coloni, nella cui dieta si trova il seme della palma.

Orongo ed il culto dell’Uomo Uccello

 L’imponente cerimonia del Tangata Manu, da cui dipendeva anche l’assetto politico per la durata di un anno, divenne la manifestazione religiosa principale e si sostituì alla quasi totalità degli altri riti. La cerimonia si svolgeva in primavera, in concomitanza con la deposizione delle uova da parte degli uccelli migratori munutara e culminavano con la gara tra i rappresentanti dei diversi clan per appropriarsi del primo uovo deposto sull’isolotto di Motu Nui. L’atleta, chiamato hopu manu, che riportava ad Orongo il prezioso trofeo permetteva al capo dei clan di essere trionfalmente investito del titolo di Uomo Uccello per un periodo di dodici mesi.

la cerimonia iniziava a Mataveri: uomini e donne delle diverse tribù tra canti e danze si raccoglievano preparando abbondanti banchetti di carne di pollo e grandi quantità di cibo: vi partecipavano anche i guerrieri aspiranti al titolo di Tangata Manu ed i loro campioni. Da qui gli uomini si portavano in processione ad Orongo ed il loro arrivo dava inizio alla competizione: i campioni venivano dipinti in tutto il corpo che le kie’a e scendevano di corsa lungo la scarpata fino al mare per raggiungere a nuoto Motu Nui a più di un chilometro di distanza dove attendevano la deposizione delle uova. Colui che veniva in possesso dell’ambita preda pronunciava a gran voce il nome del proprio clan e annunciava che era Tangata Manu, reincarnazione del dio Make Make.
Con l’uovo in mano il nuovo capo discendeva dal vulcano tra le ovazioni della gente e percorreva tutta l’isola seguito dai suoi seguaci. 

La sacralizzazione del vincitore era compiuta: diventando tapu egli doveva vivere in stretto isolamento assistito solo da un sacerdote mentre il dominio sull’isola da quel momento era affidato al suo clan ed i rivali erano costretti a scappare e cercare riparo nelle grotte per evitare vendette e ritorsioni.

Le tavole Rongo Rongo

Un altro dei misteri dell’isola di Pasqua è costituito dalle cosiddette tavole di Rongo Rongo: tavolette di legno interamente ricoperte da segni simili a geroglifici, rappresentanti in forma stilizzata figure antropomorfe, pesci, uccelli, piante. Incisi nel legno con l’aiuto di denti di squalo o ossidiana ne sono stati classificati oltre 150 diversi che formano oltre 2000 combinazioni.

Non se ne conosce con esattezza il significato (e non lo sapremo mai) anche perché i Maori Rongo Rongo, i membri dell’alta aristocrazia isolana depositari dei segreti della scrittura, morirono di malattie e stenti in Perù, dove erano stati deportati. 

Con la scomparsa dei soli abitanti in grado di leggerle, la gran parte delle tavolette con incisioni in Rongo Rongo sono certamente andate perdute. Sono state, infatti, riutilizzate dal resto della popolazione per svariati usi: decorazioni, legna da ardere, attività lavorative. Ad oggi sono sopravvissute soltanto circa 25 tavolette sulle quali sono basati tutti i tentativi di decifrazione degli studiosi.

Il sistema di scrittura del Rongo Rongo prevede un andamento bustrofedico inverso, vale a dire che procede fino al margine del supporto e inverte la direzione nel rigo sottostante, dal basso vero l’alto e da sinistra verso destra. 

Storicamente sono stati numerosissimi i tentativi di decifrazione della scrittura, ma tutti con esito fallimentare. La scarsità numerica delle fonti e la scomparsa della fonetica originale rendono il compito degli studiosi arduo, se non proibitivo. L’opinione oggi più accreditata è che il Rongo Rongo non fosse un sistema di scrittura completo ma un metodo per appuntare e ricordare nozioni o eventi concernenti l’astrologia, l’agricoltura, la geografia e la genealogia.

Se c’è una cosa che sicuramente non manca a Rapanui sono i misteri ed ognuno di loro non fa altro che accrescere il fascino e l’attrazione in ognuno di noi per questa isola davvero unica.

Buon viaggio a tutti!

 

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