Ti sei mai domandato, di fronte a tanti termini, come descrivere la disabilità e qual’é il linguaggio da utilizzare di fronte ad una persona con disabilità? In questo articolo la dott.ssa Anna Agati affronta un tema molto interessante e relativamente poco affrontato.
Perché questo articolo?
Nel quotidiano mi capita ancora troppo spesso di dovermi rapportare con persone, non solo perfetti sconosciuti, che non hanno la minima idea di come rapportarsi con il tema della disabilità.
Il paradosso, in questi casi, è che i tentativi di pensare al giusto linguaggio da utilizzare per non far sentire a disagio una persona con disabilità spesso hanno come risultato quello di pronunciare spiacevoli gaffes, anche involontarie, con il rischio di infastidire o, nella peggiore delle ipotesi offendere, il nostro interlocutore.
Ho deciso quindi di girare la domanda alla nostra collaboratrice di fiducia, la dottoressa Agati, nella speranza di fare chiarezza una volta per tutte.
Alessio (Proprio in Gamba)
Contano le parole che usiamo?
Si, moltissimo. Spesso senza nemmeno accorgercene etichettiamo e rinforziamo attraverso quello che esprimiamo col nostro linguaggio dei veri e propri stereotipi e luoghi comuni.
Ad esempio, termini come handiccappato o disabile richiamano una forte tendenza a far coincidere la persona considerata con una delle sue tante caratteristiche (in questo caso, la disabilità, ma potrebbero esserci tanti altri esempi : lo zingaro, l’immigrato, il povero….e via dicendo).

Anche i mass media utilizzano comunemente termini quali “affetto da…”, “malato di…”, “vittima di…” riferiti alle disabilità, anche se le persone in questione non sono né malate né vanno intese pietisticamente come passive vittime di una situazione.
Qual è il modo più corretto per descrivere la disabilità? Se neppure i mass media utilizzano una terminologia adeguata esiste o no un linguaggio da utilizzare senza commettere errori o rischiare di mettere a disagio una persona con disabilità?
L’Università di Padova studia da anni questi fenomeni, attraverso il team del Prof. Soresi. Proprio tratto da un suo testo riporto di seguito un esempio dove si mettono a confronto due frasi per descrivere la situazione di una persona, che chiameremo Giovanni:
“Giovanni è ridotto su una sedia a rotelle”
oppure
“Giovanni utilizza la sedia a rotelle per i suoi spostamenti”
Nel primo caso il messaggio che passa è di passività, inerzia, e ci porta a generalizzare le difficoltà del soggetto a tutto tondo, mentre nel secondo caso viene descritto come Giovanni utilizzi in modo strumentale un oggetto (la sedia a rotelle) per raggiungere un obiettivo (gli spostamenti).
Evidentemente le due espressioni, che superficialmente potrebbero essere considerate pressoché analoghe per descrivere la situazione di Giovanni, veicolano invece due significati fortemente diversi.
Quali parole quindi usare e non usare?
MENOMATO / STORPIO / INFERMO
Raramente, oggigiorno, capita ancora di sentire queste espressioni. Venivano usate negli anni ’60.
Evitiamo.
INVALIDO
Tuttora utilizzato in ambiti amministrativi. L’INPS ad esempio utilizza la voce “INVALIDITA’ CIVILE”.
Va bene nel campo burocratico, da evitare al di fuori.
DIVERSAMENTE ABILE
Veniva utilizzato frequentemente negli anni ’90, caduto poi in disuso, considerato paternalistico. Oggigiorno non servirebbe dover utilizzare un termine che sottolinei implicitamente che le persone disabili abbiano potenzialità.
DISABILE
Il prefisso DIS- richiamerebbe al contrario del termine (abile).
Quindi non l’ideale.
PERSONA CON DISABILITA’
E’ attualmente l’espressione più adatta. Ci riferiamo ad un soggetto che è il fulcro del nostro discorso, e descriviamo una sue delle caratteristiche (possedere una disabilità).
La disabilità è funzione tra la persona e il contesto.
Questo tipo di lettura ci fa riflettere su come possiamo essere tutti “un pò disabili” se non vi è un contesto attorno a noi che facilita la nostra performance.
Ad esempio, temporaneamente, siamo disabili quando ci rompiamo una gamba e, se non abbiamo il giusto supporto dall’ambiente che ci circonda o gli ausilii adatti, non possiamo essere performanti come lo eravamo prima.
Per concludere quindi, il linguaggio che scegliamo di utilizzare è importantissimo.
Riferiamoci alle persone con disabilità con il loro nome (Giulia è una persona con Sindrome di Down);
utilizziamo espressioni riferite alla persona e sull’uso strumentale che essa fa dei suoi ausili (“Mario utilizza la protesi per camminare”), ed evitiamo termini paternalistici o pietistici.

Anna Agati
Anna Agati, veneta di nascita, si forma e abilita alla Professione Psicologo all’Università di Padova.
Dal 2009 lavora presso Associazioni, Cooperative e nell’ambito della libera professione, in Italia e in Portogallo.
Fondatrice di Training and Psychology: uno spazio professionale di ascolto e di servizi a 360 gradi.
FONTI:
Soresi Salvatore (a cura di), Psicologia delle Disabilità e Inclusione, Il Mulino Edizioni, 2016
Università degli Studi di Padova
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